precedenti giurisprudenziali

03 Ottobre 2022

Nel caso di specie la Banca aveva agito in giudizio avverso un nostro cliente, per vederlo riconoscere quale erede universale del padre (debitore della banca stessa), malgrado il primo non avesse mai accettato l’eredità ed anzi l’avesse già formalmente rifiutata innanzi ad un pubblico ufficiale. Ciò al fine di poter così procedere al recupero dell’ingente credito fino ad oggi maturato, direttamente nei confronti di tale nostro assistito (un giovane e promettente manager in carriera), sottoponendo a pignoramento tutti i suoi beni. A supporto della propria domanda l’Istituto di credito sosteneva che il cliente, avendo abitato nella casa di suo padre nel periodo successivo alla sua recente scomparsa, avrebbe comunque accettato implicitamente l’eredità (ivi compresi i debiti bancari), in quanto avrebbe compiuto “atti di gestione del patrimonio”. In primo grado il Tribunale di Milano riconosceva la qualità di erede del nostro assistito – che a questo punto avrebbe dovuto rispondere con tutto il suo patrimonio presente e futuro dei consistenti debiti maturati dal papà – e lo condannava altresì al pagamento delle spese legali del giudizio in favore della banca. Certi della erroneità di tale sentenza si proponeva dunque tempestivamente appello. La banca si costituiva insistendo nelle sue ragioni e chiedendo (addirittura) che l’appellante fosse condannato per lite temeraria (ovverosia al pagamento di spese legali fortemente maggiorate in ragione della assoluta e marchiana infondatezza delle domande formulate). Con la sentenza che qui si ha il pregio di pubblicare, invece, la Corte d’Appello di Milano ha ribaltato l’esito del processo, riconoscendo come il nostro cliente NON fosse erede, e CONDANNANDO contestualmente LA BANCA a pagare le spese legali per entrambi i gradi di giudizio. Accogliendo totalmente le argomentazioni articolate dal nostro Studio nell’atto di appello, infatti, la Corte ha ritenuto che: il continuare ad abitare nella casa di un genitore, anche dopo la sua morte, non può essere in alcun modo ritenuto un atto di gestione (dispositivo) del patrimonio caduto in successione, trattandosi invece della prosecuzione dell’esercizio di un diritto di abitazione preesistente all’apertura della successione stessa. Sicché nessuna accettazione implicita dell’eredità può essere ravvisata in questi casi e, pertanto, il pagamento di nessun debito può essere richiesto al figlio. Con questa sentenza si è impedito che il futuro di un giovane lavoratore (e della sua futura famiglia) fosse definitivamente compromesso in ragione dell’ingiusta attribuzione di pesi e debiti, non da lui contratti, che difficilmente sarebbero mai potuti essere ripianati. A lui vanno i nostri più sinceri auguri di una felice vita di successi, soddisfazione e (soprattutto di) libertà.

Il processo è stato seguito internamente con la determinante e meticolosa collaborazione dell’Avv. Rosario Musumeci, del nostro Studio.

#GriffoandPartners

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