La procura, sulla scorta del carteggio e delle relazioni fornite dal curatore fallimentare, accusava il nostro cliente (giovane imprenditore del bresciano) di essere stato amministratore di fatto della società fallita e, pertanto, il medesimo, veniva rinviato a giudizio, con richiesta di risarcimento di parte civile per danni patrimoniali e non patrimoniali pari a ben € 6.791.506,00 (SEIMILIONISETTECENTONOVANTUNOMILACINQUECENTOSEI).
A fondamento di tale accusa veniva addotto che l’imputato:
a) era stato indicato dall’amministratore formale come socio;
b) aveva delega per operare sul conto bancario della società;
c) aveva perfezionato con proprie società dei fitti e delle cessioni di rami d’azienda della fallita, non avendo mai pagato i relativi corrispettivi.
Il Tribunale, accogliendo pedissequamente tutte le nostre eccezioni e contestazioni, ha invece statuito che:
a) le dichiarazioni dell’amministratore formale sono da considerarsi insufficienti a dimostrare la qualità amministratore di fatto del ns. cliente, vie più in considerazione dell’evidente inattendibilità delle medesime, essendo il primo certamente interessato ad alleggerire la propria responsabilità;
b) la sussistenza di una delega ad operare sul conto corrente della società (non dissimile da quella che si conferisce alle segretarie d’azienda) non prova affatto la materiale gestione dell’impresa, ed inoltre non è stata fornita alcuna prova che l’imputato avesse realmente esercitato quella delega agendo sul conto aziendale;
c) i fitti e le cessioni perfezionati dalle aziende facenti capo all’imputato, al momento della stipulazione dei contratti, erano amministrate non dal medesimo bensì dallo stesso amministratore della fallita. L’imputato, infatti, sarebbe sopraggiunto solo dopo ed in ogni caso è stata fornita prova che le aziende a lui riferite abbiano corrisposto (a diverso titolo) somme ben superiori a quelle previste come corrispettivo nei contratti di cessione/fitto.
Per tali motivi, l’imputato ns. assistito veniva ritenuto non responsabile di tutti gli illeciti ascrittigli (ed effettivamente perpetrati dall’amministratore formale della fallita) e pertanto veniva assolto “per non aver commesso il fatto” e perché “il fatto non sussiste”.
Questa sentenza stigmatizza come la magistratura più attenta ed avveduta sia in grado di tutelare efficacemente i diritti dei cittadini che, forse con troppa fretta e superficialità, subiscono, da parte di organi inquirenti dall’approccio sovente inquisitoriale, azioni dal peso gravissimo ed astrattamente e capaci di incidere definitivamente sull’esistenza stessa dei loro destinatari.