24 Gennaio 2024
La banca agiva nei confronti dei nostri clienti con un decreto ingiuntivo di € 113.256,89, in forza di una fideiussione omnibus rilasciata anni prima da questi ultimi su diversi rapporti bancari, facenti capo ad una società di un familiare, poi cancellata.
Veniva proposta opposizione dal nostro Studio nella quale si eccepiva, innanzitutto, la nullità parziale delle fideiussioni omnibus per violazione della legge sulla concorrenza, ovverosia la nullità delle 3 clausole, presenti nel contratto con i clienti, che ricalcavano le condizioni previste dal modello ABI dichiarato illecito già nel 2005, con particolare riferimento a quella di deroga al precetto dell’art. 1957 c.c. che, invece, impone alla banca – pena la decadenza della fideiussione – di agire giudizialmente nei confronti del debitore principale nel termine di 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione.
La nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. comporta quindi la riviviscenza di questa norma di legge, con la conseguenza che la banca, per poter richiedere il pagamento ai garanti, è chiamata a dimostrare di aver agito giudizialmente nei confronti del debitore principale entro i 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione.
Si sosteneva dunque che la banca era decaduta poiché il decreto ingiuntivo contro il debitore principale veniva proposto solo nel 2014 – e per altro su uno solo dei 3 rapporti bancari oggetto dell’odierno decreto ingiuntivo promosso contro i garanti – mentre l’obbligazione era scaduta molti anni addietro, come dimostrato dalla segnalazione a sofferenza in centrale rischi avvenuta nel 2012 ed una successiva transazione (poi non rispettata) nel 2013.
Si contestava inoltre che le condizioni contrattuali dei 3 rapporti fossero indeterminate, con la conseguente applicazione, ai sensi dell’art. 117 t.u.b., del (minore) tasso di interessi BOT in luogo di quello (maggiore) applicato dalla banca.
Il Tribunale di Trento ha accertato la decadenza delle fideiussioni dei garanti, ai sensi dell’art. 1957 c.c., per 2 rapporti su 3, liberando pertanto i nostri clienti da ogni debitoria in merito. Per l’unico rapporto dedotto nel decreto ingiuntivo esperito nel 2014 avverso il debitore principale, invece, riteneva non sussistente la decadenza poiché la scadenza dell’obbligazione si sarebbe verificata con lo stesso decreto ingiuntivo e dunque il termine di 6 mesi sarebbe stato rispettato dalla banca.
Ha accertato poi il Tribunale che, in ogni caso, in detto rapporto non decaduto, le condizioni contrattuali erano indeterminate, con la conseguenza di dover sostituire il tasso di interessi convenuto in contratto con quello, minore, previsto dalla legge per i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT). Per l’effetto il tribunale revoca il decreto ingiuntivo da noi opposto e RIDUCE IL DEBITO DA € 113.256,89 AD € 64.341,64. CON UNO STORNO, QUINDI, DI € 48.915,26 E DIFATTI DIMEZZANDO L’ESPOSIZIONE DEBITORIA DEI NOSTRI CLIENTI.
Avverso questa sentenza, benché vittoriosa, sarà proposto in ogni caso appello, poiché si ritiene del tutto non condivisibile l’assunto del magistrato secondo cui, nei confronti del mutuo di cui al decreto ingiuntivo del 2014 non vi sarebbe decadenza in quanto, la banca, avrebbe agito nei confronti del debitore principale nel termine di 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione (che partirebbe, sempre secondo questo giudice di prime cure, dalla data dello stesso decreto ingiuntivo del 2014).
Il termine iniziale dal quale cominciano a decorrere i 6 mesi previsti dall’art. 1957 c.c., infatti, è per legge coincidente con il giorno in cui l’obbligazione scade e diventa certa, liquida ed esigibile, e TALE MOMENTO NON PUÒ CERTAMENTE ESSERE QUELLO DI PROPOSIZIONE DEL DECRETO INGIUNTIVO. Infatti, per essere proposto, il decreto ingiuntivo richiede che il credito SIA GIA’ scaduto, e dunque certo liquido ed esigibile, altrimenti sarebbe inammissibile ed in questo caso il Tribunale non l’avrebbe concesso. Come già sostenuto diffusamente degli atti di opposizione in primo grado, invece, è evidente che l’obbligazione era scaduta molti anni prima, e la prova è data dal fatto che: da un lato, risulta iscrizione di segnalazione in Centrale Rischi del credito a sofferenza già nel 2012; dall’altro, nel 2013 il debitore principale e la banca addivenivano ad una transazione, e questo proprio perché il debito doveva essere per forza di cose già in mora (e dunque certo, liquido ed esigibile).
Su queste circostanze, inspiegabilmente, il giudice di primo grado non prende posizione e non offre nessuna motivazione/argomentazione, addivenendo invece ad una decisione dogmatica che, pertanto, non può essere condivisa e lasciata senza censura.
Su queste basi si ritiene di poter addivenire, in sede di appello, alla cancellazione anche dei residuali 64.341,64 €, attesa la ritenuta, totale, decadenza delle fideiussioni rilasciate dai garanti nei confronti di TUTTI e 3 i rapporti bancari dedotti in giudizio.
Il processo è stato curato con la meticolosa e sempre professionale collaborazione interna dell’ottimo Avv. Armando Cogliano del nostro Studio.
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